Un cambio di marcia, che trasformi Instagram da mero “biglietto da visita per immagini” a concreto strumento di marketing, comunicazione e, soprattutto, redditività. È questo il passaggio fondamentale che gli hotel devono ancora largamente compiere, ingessati in un racconto troppo patinato di sé e poco “relazionale”. A suggerire agli albergatori le strategie giuste e le priorità per farsi largo tra spiagge e gattini, frasette di Oscar Wilde e influencer – o forse proprio sfruttandone il potenziale – è Orazio Spoto, specialista del social network del gruppo Meta nella multiforme veste di consulente e speaker in ambito turistico, formatore, content creator, fondatore-presidente della associazione Instagramers Italia e autore, insieme ad Andrea Antoni, del libro “Instagram, community e creatività”.
Spoto, qual è lo stato dell’arte nel rapporto tra hotel e Instagram?
È una relazione che va via via prendendo forma, ma siamo ancora lontani dallo sfruttare appieno le potenzialità di questo social. Ancora oggi Instagram viene considerato da gran parte degli albergatori come un biglietto da visita, un “Twitter delle immagini”, come lo si definiva già anni fa. In realtà, specialmente per i piccoli operatori, Instagram deve costituire a tutti gli effetti uno strumento commerciale. Con tutto ciò che ne consegue.
Ovvero?
Bisogna investire sullo strumento, in tutti i sensi. A partire dalle persone: bisogna prevedere una persona che se ne occupi quotidianamente, magari non in via esclusiva, e un budget sull’advertising, per analizzare il portato dei propri post e delle proprie stories. Troppo spesso la comunicazione digitale viene vista come un non-lavoro, mentre realizzare un piano editoriale o il semplice rispondere ai commenti, selezionandoli, non significa perdere tempo: sono attività che rientrano a pieno titolo nella logica commerciale. Molti account Instagram alberghieri riflettono comportamenti da Pagine Gialle: questo è l’hotel, ci troviamo in questa zona, questo è l’indirizzo, siamo bravi. A mancare, spesso, è il motivo per il quale un utente dovrebbe seguire l’account.
Quali sono le possibili mosse per diventare “followabili”?
Innanzitutto, bisogna superare l’autoreferenzialità. Pensare non come singola azienda, ma come realtà immersa in una rete di possibilità. Un hotel del Rione Monti di Roma non può limitarsi a sponsorizzare i suoi ambienti, la facciata o la poca distanza dal Colosseo.
Deve andare oltre, e raccontare cosa offre il quartiere in termini di proposta culturale, tempo libero, scorci, botteghe, ristoranti… Anziché postare una foto della propria miglior camera vuota, per aggiungere un elemento local basta aggiungere sul letto o in un angolo alcune shopping bag con i prodotti dell’artigianato di zona, le specialità, le tipicità che rendono riconoscibile un territorio. Realtà che vanno messe insieme per fare sistema, e che possono andare a costituire una guida di Instagram, funzionalità del canale social in cui si offre a chi ci segue delle curiosità e delle proposte che danno un valore aggiunto, senza necessariamente sostituirsi alla Lonely Planet.
La leva delle offerte funziona, per farsi seguire?
Eccome. Esistono le cosiddette Instagram rate, che permettono a chi segue una pagina di ricevere in direct offerte dedicate e a tempo. Ad esempio: per due giorni, a chi prenota dal link che viene messo temporaneamente nella bio, si offre la stanza a prezzo normale, ma con la flat del frigobar. Che poi vuol dire qualche bottiglia d’acqua e qualche bevanda, con le quali non si va falliti e si dà un buon motivo per seguire il profilo. E se l’offerta non piace, non importa: tra cinque giorni l’hotel ne pubblica un’altra, integrando le storie con i promemoria e i direct per portare il potenziale follower a diventare un cliente.
È un lavoro che si può fare con risorse interne all’hotel?
Torniamo all’inizio. Il lavoro che viene identificato con la dicitura “social media manager” va al di là del mettere il like al nuovo follower, ma sta nell’ideare delle proposte turistiche di hospitality dedicate. È un ruolo che prevede interazione con il titolare e capacità di programmazione: un content creator realizza cinque post a settimana, i reel, i video, le interviste. Il lavoro sta nel gestire l’account, ma ancor più nel farlo diventare parte integrante della strategia di comunicazione e commerciale. Se il titolare si accorge che con la Instagram rate ha coperto quella stanza rimasta invenduta per il giorno dopo San Valentino, o che riesce a fare upselling, allora cambierà anche l’approccio.
• Tra il non investire e l’investire migliaia di euro, c’è un mondo: bisogna esserne consapevoli
• Il proprio account Instagram non è un’isola: deve essere collegato attraverso ponti al territorio e ai clienti
• Differenziate l’offerta e usate Instagram come canale di vendita con offerte a tempo
• Leggete i direct, per carità
• Le storie non sono dei post che non ce l’hanno fatta
• I content creator non sono tutti uguali. Possono essere funzionali al business ma bisogna capire chi può davvero aiutarci
Agenzie di comunicazione e influencer. Qual è la resa effettiva?
Il quadro è chiaro ma articolato. Non di rado le agenzie che seguono gli hotel chiedono a questi ultimi i contenuti da pubblicare, quando invece sta proprio nei contenuti e nel piano editoriale il tallone di Achille degli albergatori. Sugli influencer c’è un bivio. La prima strada è quella di concedere – in cambio di post e stories – il proverbiale weekend gratis, che spesso viene richiesto nei periodi di alta stagione e quindi costituisce un guadagno mancato. Ma la resa non è garantita, perché se non paghi il content creator, ma fai uno scambio merci, non hai un controllo al 100% sui contenuti. Se l’influencer soggiorna da te e comunica ai suoi followers “bello, l’hotel!”, che valore aggiunto sta dando? Cosa racconta rispetto a un concorrente? Lo stesso vale per il target: se un albergo per famiglie si rivolge a una influencer che ha come pubblico le quindicenni, si è fuori target. L’altra strada passa dal contrattualizzare il content creator, con tanto di brief e piano di lavoro, con convocazione a maggio per riempire la stanza ad agosto e con una pianificazione che permetta il controllo preventivo della corrispondenza tra pubblico dell’influencer, tipologia di contenuti e target di interesse. A domanda secca, risposta secca: certo che si deve fare attività di content creation, ma con determinati criteri. Se si sceglie la persona giusta, brava a sviluppare contenuti anche come videomaker e fotografo, la si può coinvolgere per tutti i propri canali. Questo genere di figure ha un significato, a patto che il pubblico sia in linea.
Cos’altro può fare un hotel per accrescere la sua popolarità su Instagram?
Oggi gli hotel che possono permetterselo puntano molto sulla creazione di angoli instagrammabili. Cioè identificano aree della struttura da “effetto wow”, come una stanza con una vista particolarmente bella, una piscina a sfioro sul tetto, un corner nella lounge: luoghi che si prestano agli scatti e sui quali insistere per essere condivisi su Instagram. Un elemento che sdoppia la narrazione: da una parte ce n’è una molto patinata e “ufficiale”, dall’altra una più “di base”, fatta dei contenuti degli ospiti della struttura e quindi più veritiera. Una narrazione per immagini che le strutture recepiscono e ripubblicano, spesso in apposite aree battezzate “dicono di noi”, “le vostre foto”… E funziona. Gli hotel stanno facendo pace con questo aspetto, allontanando la visione troppo patinata di Instagram. Le nuove generazioni di content creator usano oggi – almeno in parte – una narrazione in prima persona, modalità di conseguenza adottata dagli hotel stessi. E ricordiamoci che i content creator non sono i pochi eletti “alla Ferragni”, che guadagnano milioni di euro, ma persone con introiti normalissimi: tant’è che si parla di loro come di una nuova classe media.
Qual è la politica giusta verso i contenuti Instagram creati dai clienti? È giusto ripostare tutto?
Su questo possiamo scomodare Manzoni. Ripostare? Adelante, con juicio. La logica è quella di valorizzare ciò che fanno i clienti, anche con dieci, quindici storie al giorno, dal momento che oggi il successo su Instagram passa principalmente dalle stories e non dai post. Il punto è che spesso le stories vengono considerate il contenuto B dei post e dei reels, ed è questo il gravissimo errore, perché ripubblicare qualunque cosa avvenga nel nostro hotel, senza un fil rouge narrativo, in realtà disorienta l’utente. Se un cliente fotografa la mia doccia vista mare e scrive “oggi fa freddo, meno male che mi faccio una doccia calda”, l’hotel fa un errore a ripubblicare la storia, perché è del tutto fuori contesto. Cosa gli interessa comunicare? Che ha l’acqua calda? No, deve comunicare che il bagno in quella stanza permette di fare una doccia, rilassandosi, guardando il mare. Capita anche di essere ripubblicati da un utente, e ripubblicare a propria volta, in un loop che è altrettanto sbagliato. Un discorso analogo lo si può fare con le call to action. Molti albergatori si sentono dire dagli esperti: “chiudete con una call to action, chiedete agli utenti cosa ne pensano”. E quindi postano contenuti del tipo: “Ecco la nostra fantastica stanza vista mare. E voi, vorreste essere al mare?”. Ma non per tutti è un bene: se si ha una community estesa, in molti risponderanno e sarà un successo. In caso contrario, l’effetto sarà quello del deserto di Atacama: una tristezza. La call to action non significa invitare a far qualcosa, ma a fare qualcosa in modo mirato, aggiungendo elementi come la temporalità: se si fa qualcosa entro oggi, entro due ore, adesso, si avrà un vantaggio. Altrimenti non serve a nulla.
Le opportunità da cogliere per trasformare Instagram in uno strumento per fare business. E per fare comunità intorno al proprio hotel, convertendo follower in clienti. E viceversa.