Intervista al ceo Italia di B&B Hotels, Valerio Duchini: il modello di business, le formule di acquisizione, il futuro prossimo della catena, la pandemia “domata” e i tre imperativi che guidano la filosofia del brand. Con lo zampino di Kant
Aprire hotel. Fare revenue. Offrire qualità. Tre punti programmatici chiari e ambiziosi, tre pilastri chiamati a orientare azioni e strategie. O, per dirla con la filosofia, tre imperativi categorici senza ombra di noumeno, sui quali costruire benessere & business, per una doppia bi che ritorna in B&B Hotels, brand alberghiero dell’”Only for Everyone” come payoff e dello smart come aggettivo-manifesto. E catena che – negli anni Ottanta che l’hanno vista nascere – si sarebbe ben potuta definire “rampante”, per la cifra con la quale interpreta il concetto di espansione. In Italia a dirigere la catena c’è da tre anni Valerio Duchini, varesino di Tradate di quarantanove anni e più o meno altrettanti hotel da gestire su e giù per il Bel Paese.
Un passato da manager in Purina, Compass Group e Vodafone, Duchini è in B&B Hotels dal 2009: e non c’è bisogno di essere fan degli acronimi, per comprendere che il suo passare in dodici anni da Cfo a Coo, e poi a Ceo, sia già di per sé elemento capace di raccontare una carriera e, perché no, anche una storia.
Duchini, il modello di business di B&B Hotels?
Il nostro modello di business nasce insieme alla catena. Era il 1989 quando François Branellec, un rappresentante di commercio bretone, si rese conto che spendeva una fortuna in alberghi, per fare il suo lavoro. Per questo motivo decise di inventarsi un concept ricettivo basato sulle sue esigenze: dormire bene, lavarsi meglio – con un bagno privato e non in corridoio, come spesso avveniva allora – e avere la possibilità di decidere se fare colazione oppure no, pagandola solo se avesse avuto appetito. Tutto questo, con il miglior rapporto qualità-prezzo sul mercato.
E il brand è ancora fedele a questo concept.
Esatto. Con questa filosofia siamo passati dai primi due hotel – a Brest e Saint Malò – ai quasi 600 di oggi, in tutta Europa: siamo presenti in 12 Paesi, con la Francia che la fa da padrona, con 270 hotel, e poi Germania e Italia, rispettivamente con 130 e 50 hotel. E poi tutte le altre nazioni: Spagna, Portogallo, Svizzera, Austria, Slovenia, Ungheria…
Unica eccezione extra-europea, il Brasile.
Sì, tre anni fa abbiamo deciso di aprire anche in Brasile, perché è un mercato molto simile a quelli europei, e il nostro business model si sposa perfettamente con le sue caratteristiche. E non ci fermiamo: stiamo monitorando altri Paesi extra-europei, e vogliamo continuare la nostra espansione anche nel Vecchio continente.
Gli Stati Uniti?
Stiamo valutando diverse opportunità, ovunque nel mondo. Dove il nostro modello trova terreno fertile, noi andiamo: che sia il Sud Africa o la Cina. Oppure la Croazia, dove per esempio l’anno prossimo apriremo una struttura.
Torna il ruolo centrale del business model.
Sì, un modello autenticamente smart, molto leggero e tecnologicamente avanzato, che noi definiamo “Only for everyone”. La nostra clientela è per la maggior parte business: in Italia vale un 65-70%, e nell’ultimo periodo anche l’80%. Questo però vuol dire che il leisure rappresenta un buon 30%, a seconda delle città. C’è Firenze che ne vede certamente di più, ma dall’altra c’è Milano a riequilibrare. Anche se fino al 2019 il leisure su Milano era molto importante.
La pandemia ha bloccato una vera e propria primavera milanese, sul leisure.
Un’onda che abbiamo cavalcato, ma con un’espansione che per noi non ha mai significato, negli ultimi dodici anni, la volontà di aprire hotel tanto per piantare delle bandierine. La nostra è una crescita organica, integrata, ed ogni hotel deve dare soddisfazione a noi come al proprietario delle mura, oltre che al cliente.
Quante sono le opportunità in Italia che avete scartato?
Capitano opportunità sulla scrivania tutti i giorni, ma aprire un hotel non vuol dire niente, se non è in grado di dare soddisfazioni a tutti gli stakeholder.
Il focus resta sui centri città e sui maggiori punti di interesse.
Focalizziamo il nostro interesse laddove ci sono dei volumi e una domanda da soddisfare. Su questo abbiamo aggiustato il tiro, negli ultimi anni, e abbiamo ampliato la nostra visione. Ad esempio, abbiamo acquisito il nostro hotel di Cortina da un fallimento all’inizio del 2019, quando ancora non si sapeva delle future Olimpiadi.
Le opportunità portano a loro volta opportunità, insomma.
Esatto. A Firenze abbiamo cinque hotel, dei quali due sono dei quattro stelle in centro città, e anche gli altri sono ben posizionati. Ragioniamo in termini di volumi, siano essi business, come a Milano, o di altra natura, come può succedere a Pescara, Savona, Cremona, Palermo, Napoli, Bari o Lido di Camaiore: se c’è domanda, noi vogliamo esserci.
Plain and simple.
È così. Il nostro poi è un approccio molto sartoriale, perché l’hotel o la camera di Parigi non sono gli stessi di Monaco di Baviera, Roma o Milano, come accade invece per altre catene. E non solo: l’hotel di Milano in via Dante è diverso dall’hotel di fronte allo stadio di San Siro, perché è tarato sulle particolari esigenze della clientela di quel circondario.
Quindi da cosa passa l’identità univoca della catena?
Dal modello, ancora una volta. Dall’essere smart.
Per quanto riguarda le formule di acquisizione, su cosa puntate?
Offriamo contratti di affitto a lungo termine, di solito a 20 anni più 5 più 5, con un minimo garantito o una percentuale del giro d’affari superiore al minimo garantito, per cui il più alto dei due vince. È una formula molto stimolante anche per l’investitore, e i nostri rendimenti sono buoni e molto bancabili: siamo come un bond tedesco. Il nostro è un business fatto di domanda e offerta, non è legato all’inflazione, perché non produciamo un bene fluttuante come il rame o il petrolio.
Alle strutture alberghiere offrite anche altre formule?
In Italia su 50 hotel abbiamo fatto cose molto diverse tra loro. Più che di hotel, però, parlerei di building, perché solo la metà del nostro network nasceva già come hotel. Siamo andati a convertire uffici, scuole, conventi, supermercati. Abbiamo solo tre greenfield su tutta la catena, perché trovare il posto adatto e ottenere i permessi in Italia non è semplice. Naturalmente siamo aperti a tutte le situazioni, e se c’è da acquisire uno stabile, abbiamo dei partner di Real estate che ci seguono e che lavorano con noi.
In che percentuale prevale la formula di affitto long term?
È la totalità. Come per Mc Donald’s, che ha diviso Real estate e Operations, l’ottica è sempre quella di distinguere operating company e property company deal: sono due logiche diverse, che non puoi tenere nella stessa società quando ti ingrandisci così.
Avere così tanti proprietari come “soci” comporta problemi?
No, nessun problema, perché con tutti i nostri partner c’è un buon rapporto, e l’ho verificato anche in piena pandemia, quando ci sono stati molto vicini.
Nessuna sindrome da inquilino, insomma.
No. Anzi, i proprietari degli immobili ci tengono ad averci con loro, anche perché oggi emettono la fattura e noi domani l’abbiamo già pagata. E poi nella maggior parte dei casi paghiamo già il variabile, per cui assicuriamo di più del minimo garantito sul loro immobile.
Quali sono le specificità del mercato italiano?
È molto esigente da un punto di vista qualitativo. Qui più che in altri Paesi è importante avere camere sempre perfette, così come bisogna esserlo in tema di accoglienza. In Italia sai che devi essere sempre impeccabile, per cui devi stressare ancora di più il concetto del miglior rapporto qualità-prezzo, sui quattro come sui tre stelle. E in più devi avere un ambiente fresco e di design, ma allo stesso tempo funzionale per il cliente. Nelle nostre camere, l’ospite trova almeno dieci prese elettriche, la smart tv con Chromecast e la fibra a 300 Mb. Dotazioni che a volte neanche i cinque stelle offrono.
Torniamo al Mice. Qual è la situazione del segmento?
Ad oggi la novità è che siamo passati dal lavorare con una clientela più internazionale a una prettamente italiana ed europea.
Quindi un travaso di prossimità anche sulla clientela business.
Che è possibile solo grazie a una forza di marketing, commerciale, di management e operativa veramente pazzesca. Siamo nel settore dei servizi, per cui è necessario stare sul pezzo ogni giorno. Il segreto è questo: sapere che nessun giorno è uguale all’altro. Bisogna prevedere il futuro, per quanto possibile, e avere una visione che sia già orientata in questo senso. I nostri tre pilastri dicono tutto: Il primo è “aprire hotel”, il secondo è il revenue. Il terzo è strettamente collegato a quest’ultimo, ed è la qualità, perché non c’è qualità senza revenue, e viceversa.
È ciò che vi ha permesso di essere resilienti?
Esattamente. Nel 2020, quando il settore ricettivo ha perso mediamente l’85% del fatturato, noi abbiamo perso il 50%. Naturalmente non è un dato di per sé esaltante, ma il nostro principale azionista, Goldman Sachs, ci ha inserito tra le aziende più resilienti del suo sterminato portafogli, malgrado la ricettività sia stata tra le più impattate dalla pandemia.
A proposito di Goldman Sachs. Che azionista è?
Rispondo così: “Chapeau”.
Veniamo alla sostenibilità. Come declinate il concetto?
Prestiamo molta attenzione al nostro essere smart, ma anche al versante ESG – Environmental, Social e Governance, che per noi è altrettanto fondamentale in ogni passo della nostra crescita. E non da oggi, ma da almeno dieci anni, quando avevamo già i pannelli solari, i rubinetti con il rompigetto per consumare meno acqua e i defibrillatori in ogni hotel.
È arrivato anche un premio ai Sustenibility Award.
Confesso che è stata una bella sorpresa essere inseriti tra le migliori imprese d’Italia, non me lo aspettavo, tra l’altro come prima catena alberghiera italiana.
Come si riesce a vendere bene anche durante una pandemia?
Non è una questione di revenue dinamico, ma di quel tailor made di cui ho detto prima: analizziamo ogni singolo giorno, ogni singolo canale di vendita e ogni singola stanza, per avere il miglior rapporto qualità-prezzo disponibile sul mercato. Dire business management è relativo, anche perché il revenue non è fatto solo dalla camera, ma anche dalle colazioni, dallo shop, dalle ancillary… è molto più ampio come concetto. A volte sarà necessario massimizzare la parte di occupazione e altre volte spingere sul prezzo medio, per cui è un lavoro molto trasversale.
E come si riflette sui canali di vendita?
Li utilizziamo tutti: un 20% viene dal nostro sito, un 30% dalle Ota, un 15% dai gruppi e il resto dai canali diretti.
Torniamo alle ancillary, e a quel B&B Shop che vi identifica molto.
Per me il B&B Shop è un concetto diverso da quello delle ancillary. L’ho introdotto nel 2015, e funziona come in Autogrill: è la comodità di avere un negozio che vende un po’ di tutto, sempre a disposizione, di fronte alla reception. Utile per acquistare il necessaire, da mangiare e da bere, il caricabatterie, il trucco per le signore. Le ancillary sono altro, e vanno dall’affitto delle sale riunioni al parcheggio.
Cosa ama fare, nel suo tempo libero?
Dedico il mio tempo libero alla famiglia, che per me è fondamentale: sono valori che ho sempre avuto e che in azienda traduco nel saper essere, che deve sempre accompagnarsi al saper fare. I miei figli giocano a calcio e mi piace seguirli, e anch’io sono stato per 35 anni un portiere. Amo fare sport, dal padel alla palestra, e poi viaggiare e ascoltare musica di molti generi, spaziando da Bon Jovi a Sferaebbasta fino a Salmo, Ultimo e Robbie Williams. E poi, da italiano, adoro la buona cucina.