Parlare con Luca Boccato è fare un viaggio nella pacatezza. Quella lontana dal grigio, però. Quella non banale e che si accompagna alla fermezza gentile di chi ha le idee chiare, e sa come renderle realtà tangibile. Si capisce subito che l’ospitalità lo appassiona. Ad ascoltarlo raccontare le sue idee per il futuro, del gruppo che dirige e dell’hotellerie italiana, viene in mente Cavour quando sosteneva che “la ragione è onnipotente, quando ha per ausiliario l’amore”. E così non sorprende che l’AD di HNH Hospitality sia un appassionato di storia. Che al mantra della “ripartenza”, che ha imperato negli ultimi mesi, oppone idealmente quello del Risorgimento, che propone come paradigma per leggere anche il nostro tempo: forse non tanto nell’afflato del “qui si fa l’Italia o si muore”, un tantino troppo tonitruante in tempi di low profile, quanto nel metodico lavoro di spada e di cesello dei padri fondatori. Perché anche il mondo dell’hospitality ha oggi, a modo suo, bisogno di tenere insieme la strategia di Camillo Benso, il coraggio di Garibaldi e lo spirito rivoluzionario di Mazzini. Per ripartire, o risorgere che dir si voglia.
Boccato, qual è oggi l’orizzonte di HNH?
Il focus rimane sulla crescita. Diciotto mesi di Covid ci hanno impegnati e sicuramente ci portiamo dietro qualche tossina di quanto accaduto. Però l’impegno – anche con i soci, visto che nel 2017 è entrato nel nostro capitale un fondo di private equity che ci ha rafforzato nei piani di sviluppo – è rimasto lo stesso. Quindi, dopo l’apertura di aprile del DoubleTree by Hilton Rome Monti e quella, recentissima, di voco Milan-Fiere, stiamo monitorando alcune destinazioni in cui non siamo ancora presenti, come Torino, Bergamo, Genova. Vorremmo anche crescere nel segmento dei resort per replicare la fortunata esperienza di Almar Jesolo Resort & Spa, per un nuovo prodotto luxury con lo stesso marchio, che è nostro.
Le sue parole confermano l’interesse verso le città “intermedie” e il puro leisure. Sono due temi distinti: da anni sosteniamo che le destinazioni ‘secondarie’ possono creare valore sia per l’operatore che per l’investitore. In questo senso è coerente la nostra operazione su Trieste, dove abbiamo aperto un DoubleTree by Hilton, con un progetto di successo – malgrado il Covid – sul quale contiamo anche per il futuro. Sulle destinazioni balneari c’è crescente interesse perché stanno dimostrando di essere le prime ad uscire dalla crisi. Su Jesolo, nell’estate 2021, abbiamo dati non lontani – se non addirittura superiori – all’estate 2019: questo dice molto già di per sé. Ma l’interesse degli investitori non può prescindere dagli operatori: la grossa carenza del passato stava proprio nell’assenza di realtà gestionali in grado di garantire performance in linea con altri mercati. Ora gli operatori ci sono, stanno migliorando, si sono qualificati e stanno avendo sempre di più un approccio strutturato.
I vantaggi di affiliarsi a un brand sono evidenti. Qual è però il contraltare? La criticità sta nel non saper valutare, all’inizio del rapporto di franchising, i costi diretti e indiretti che questo rapporto comporta. La forte specificità del mercato italiano può diventare un elemento difficilmente gestibile, e mi riferisco soprattutto alle norme: per esempio, oggi molti brand impongono – giustamente, come loro scelta strategica – uno specifico software gestionale. Ebbene, spesso questi programmi faticano ad adeguarsi in modo efficiente alle normative italiane, su temi quali la fatturazione o lo scontrino elettronico. La burocrazia del sistema Italia non sempre trova corrispondenza nei PMS, realizzati a livello internazionale e meno adattabili a livello locale. Questo elemento a volte aumenta i costi indiretti, ed è un tema cui spesso il singolo operatore fatica a far fronte. Per fortuna in HNH siamo abituati a parlare con i brand e, nel tempo, abbiamo imparato a gestire queste criticità.
Qual è il punto di forza, e quale la principale criticità, del sistema ricettivo italiano? Il punto qualificante della nostra ospitalità – nel bene e nel male – sta nella tradizione. Questo vuol dire know-how e competenze che nel tempo hanno dato luogo ad una italian way. Che però trova il suo rovescio della medaglia nel momento in cui la tradizione diventa difficoltà nell’approcciare in modo innovativo le nuove tendenze di mercato. Basta accorgersi della scarsa presenza di brand internazionali, ma anche dell’incapacità di uscire da un format che negli anni si era affermato nelle grandi destinazioni di villeggiatura: il modello della pensione con tutti i servizi inclusi è un format che oggi paga molto il confronto con il contesto internazionale. Se sapremo uscirne e proporre un format di prodotto più adeguato alle esigenze della clientela internazionale, potremo svoltare rispetto ai cambiamenti che inevitabilmente ci saranno nei prossimi anni.
Perché l’Italia non esprime una grande catena da opporre ai grandi player internazionali?
Se guardiamo alla storia delle grandi catene alberghiere italiane, hanno spesso assommato in sé proprietà e gestione operativa: un modello vecchio dal punto di vista dell’efficienza del mercato di capitali, che inevitabilmente ha rappresentato un freno nel loro sviluppo dimensionale. NH, Hilton, Accor hanno migliaia di alberghi, ma pochissimi dipendono direttamente da essi. Questi player non sono concentrati nemmeno più sulle operations ma più che altro sul branding, e temo che l’Italia ormai il suo treno lo abbia perso. Potrà però fare operations, utilizzando brand internazionali e contando sulla presenza sul territorio, coinvolgendo persone, applicando economie di scala.
Dicevamo di voco, ultima apertura in ordine di tempo. Quali sono le prospettive del Mice e del business travel?
Abbiamo fatto questo investimento su Milano convinti che – se non a breve – nel medio-lungo termine la città tornerà a livelli molto vicini a quelli del mondo pre-Covid. Ovviamente nella scelta imprenditoriale c’è un mix tra la convinzione che quel mercato possa crescere e la chance di cogliere in un momento negativo una buona opportunità. Siamo contenti della decisione presa e del prodotto, oltre che del brand che abbiamo scelto: ci porterà successo. Quanto a Mice e business travel, non credo che i cambiamenti dell’ultimo anno si consolideranno nel medio-lungo periodo. A chi mi dice che molte aziende si sono accorte di poter continuare a fare i fatturati che facevano prima senza spendere troppo nel business travel rispondo che sì, questo è avvenuto, ma in un contesto assolutamente drogato, condizionato da quello che stava succedendo.
Si uscirà da questo “straordinario”, quindi.
Quando ci si potrà muovere senza restrizioni, le aziende torneranno a incentivare i migliori elementi dei propri staff con un viaggio, che è anche un benefit, e soprattutto torneranno ad essere competitive, cercando di rubare ai propri competitor quote di mercato. E questo avverrà inevitabilmente con gli strumenti tradizionali, viaggi compresi. Mi piace molto questa metafora: nella corsa automobilistica del business travel ad un certo punto è entrata la safety car perché c’è stato un grave incidente, il Covid, e tutti abbiamo dovuto viaggiare a ritmi più blandi. Ma non credo che continueremo ad andare tutti più piano anche quando la safety car uscirà: anzi, cercheremo di recuperare posizioni tornando ad utilizzare gli strumenti che abbiamo usato in passato. Tra questi, il viaggio.
Lei ha affermato qualche mese fa che nel dopo-Covid il premio al rischio attribuito ad operatori e brand dovrà differenziarsi maggiormente.
La mia idea è questa: la pandemia ha messo a grave rischio tutto il sistema e gli operatori, che hanno vissuto questa fase superandola, anche attraverso l’aiuto dei landlord, che si sono seduti ad un tavolo con noi e in molte circostanze ci hanno concesso degli sconti o ridiscusso nuovi termini contrattuali, perché consapevoli della qualità dell’operatore che avevano di fronte. Così come noi dovremmo capire che certi modelli di business vecchi dovranno in qualche modo evolversi nella situazione post-pandemia, allo stesso modo gli investitori dovranno attribuire ai vari operatori un diverso rischio, o per converso un diverso merito, attraverso la leva dei canoni e in base alle performance. Ancora oggi troppi investitori si fermano ad un ragionamento molto lineare del tipo: “Tizio mi offre 100, Caio mi offre 105, quindi scelgo quest’ultimo”. Se riusciremo in questo cambiamento gli investimenti saranno più efficienti, gli operatori più felici e i rendimenti più alti.
Le Ota: sono davvero il demonio, oppure un alleato da gestire?
Sintetizzo così: le Ota sono un buon amico bravo a farsi i fatti suoi, del quale ogni tanto è anche giusto diffidare ma dal quale non si può prescindere. Dobbiamo riconoscere certamente il loro ruolo nel dare visibilità agli alberghi indipendenti o di catena, e in più hanno anche migliorato il livello di trasparenza: il mondo pre-Ota con dieci tariffe diverse su dieci canali differenti non era certamente desiderabile. Detto questo, nell’analizzare il proprio conto economico un albergo o gruppo alberghiero deve valutare bene il trade off tra costi e benefici. Noi siamo ampiamente sotto il 25% nel peso delle Ota, in alcuni casi sotto il 15%, perché ne valutiamo bene l’impatto e il costo, anche in relazione ai canali alternativi, che a loro volta hanno sempre un costo. È importante essere molto razionali ad allocare le risorse per trovare un equilibro tra i diversi canali, perché l’obiettivo è che l’albergo sia libero nelle proprie politiche commerciali, senza dipendere da un singolo grande cliente, che con le sue decisioni potrebbe poi condizionarne troppo i destini.
L’ospitalità tra dieci anni: in cosa sarà diversa.
Le dico cosa mi piacerebbe vedere non tra dieci, ma tra cinque: la capacità di rendere concreti i nostri programmi. Da settore dei servizi siamo diventati quello delle esperienze, ora quello delle persone. Insistiamo tutti sul fatto che il nostro staff è importante: ecco, per fare la differenza dovremo riuscire a rendere concreto questo assunto, esternalizzando meno i servizi, riportandoci in casa i processi produttivi e rimettendo le persone che lavorano per noi al centro dell’attenzione. È un modo per fare la differenza, e gli ospiti se ne accorgeranno.
Cosa cerca in un hotel quando è un semplice cliente?
Mi piace molto la capacità dello staff di leggere le attitudini e le esigenze di ciascun ospite. Si dice spesso, ma ritengo sia vero: la capacità di ascolto delle persone che lavorano in un albergo è fondamentale perché dimostra grande sensibilità.
Quali catene straniere trova più interessanti?
Recentemente ho apprezzato molto, per motivi diversi, CitizenM e The Hoxton, che guarda caso sono marchi non sviluppati dalle grandi catene, che tendono ad essere generaliste e meno capaci di sviluppare un capo d’alta moda inteso come innovativo, più di rottura rispetto agli schemi del passato. Da questi esempi di ospitalità possiamo imparare molto anche sul mercato italiano, che ha bisogno di più contaminazione internazionale.
Cosa fa il dottor Boccato quando non è Ceo di HNH?
Sto molto in famiglia, con la mia compagna e i miei figli, due cani ed un gatto. Mi piace leggere, e quando non leggo di lavoro amo molto i saggi storici. E poi mi piace correre, a piedi. Negli ultimi diciotto mesi ho fatto molta fatica a distinguere il tempo del lavoro da quello personale. Da una parte è bello perché il lavoro mi coinvolge e mi appassiona, ma le preoccupazioni per quello che abbiamo affrontato hanno ridotto i tempi di discontinuità. È per questo che la famiglia, la corsa ed un buon libro sono i tre momenti cui preferisco dedicare il mio tempo libero.
È un lettore della superstar della storia italiana Alessandro Barbero?
L’ho letto, certamente, ma più ancora l’ho ascoltato attraverso i podcast, davvero molto interessanti.
E qual è la sua epoca storica preferita?
Vado a periodi. Quando si insediò il nuovo governo, a Mario Draghi venne chiesto da quale politico della storia italiana traesse ispirazione: lui citò Cavour, e mi resi conto di quanto poco lo conoscessi. Iniziai con un paio di biografie, e da lì è nata una passione, che sto coltivando anche oggi, per la storia del Risorgimento, dalle guerre di Indipendenza ad alcuni personaggi – ora sto leggendo un libro su Garibaldi – e proseguo volentieri nell’approfondimento di questo filone storico. Molto utile, per giunta, anche per capire ciò che sta succedendo oggi.
Un intervista molto interessante e piena di spunti accattivanti per i tempi che verranno. I migliori auguri Dott. Boccato. Buon vento ed i più cordiali saluti da Venezia.