Se il sistema alberghiero italiano fosse il gioco del Monopoly si potrebbe dire che, dopo un anno in cui ha temuto per sé un futuro prossimo da Vicolo corto, si è invece ritrovato ancora ad essere saldamente un Parco della Vittoria. Almeno dal punto di vista immobiliare. Con tanto di imprevisti e probabilità, come è naturale quando si parla di real estate. Fatto sta che il patrimonio alberghiero tricolore ha complessivamente tenuto, nell’anno più difficile per l’ospitalità, sia sul piano del valore economico sia su quelli della capacità di attrarre e delle prospettive di crescita. Senza lasciarsi deprezzare dalla pandemia e attirando sempre di più – anche fuori dal “quadrilatero d’oro” Roma-Venezia-Milano-Firenze – l’interesse degli investitori internazionali. Ma senza l’effetto-avvoltoio più volte annunciato. Almeno per il momento.
Il mercato, tra trophy asset e fake news
Ce lo conferma Marco Zalamena, Head of Hospitality di EY: “Partiamo da un punto importante da precisare: agli albergatori non stanno arrivando offerte di acquisto irricevibili. Si è discusso molto di speculatori esteri che, approfittando della crisi della ricettività, avrebbero portato via i più begli alberghi italiani a prezzo di saldo: non è così, non è mai stato così. L’investitore internazionale ha sempre pagato un prezzo in linea o talvolta superiore a quello che avrebbe potuto pagare un investitore nazionale”.
Nessuna speculazione, quindi. Casomai più offerta sul tavolo, questo sì, perché “ci sono molti più soggetti disposti o seriamente interessati a vendere i loro alberghi rispetto al 2019”, ma “in gran parte con proposte economiche in linea coi valori pre-Covid, o addirittura superiori. Chiaramente – argomenta il partner EY – dobbiamo distinguere il mondo alberghiero in due macro aree: i cosiddetti “trophy asset” e tutto il resto del mercato. Ebbene, il primo segmento – dal punto di vista dell’appeal sugli investitori – non ha subito un deprezzamento. Il fatto stesso che dei trophy asset siano stati messi sul mercato per la prima volta dai loro proprietari è già stato considerato dagli investitori internazionali come una grande opportunità. Ebbene, i prezzi delle transazioni su queste strutture sono pienamente in linea con il mercato pre-Covid: pensiamo alla vendita del Baglioni a Venezia, acquistato per un milione di euro a camera, o del Grand Hotel de la Minerve a Roma”.
E poi c’è il resto del mercato, “quello che potremmo definire “tradizionale”, i 3-4-5 stelle. È un mercato più fungibile, e sicuramente sconta di più l’effetto Covid: su questi asset l’investitore si aspetta nella maggior parte dei casi uno sconto, perché acquistando si sta assumendo un rischio di mercato, in questo momento. Ma in ogni caso nessuna svendita, salvo forse qualche caso isolato, che potrebbe aver riguardato alcune situazioni minori”. A “difendere” l’Italia dalla speculazione è, secondo Zalamena, “la resistenza del proprietario a vendere a sconto, insita nella natura stessa del mercato immobiliare italiano. Sui mercati più sofisticati, come quelli di Londra e New York, quando c’è una crisi le transazioni aumentano, perché chi vende – anche a prezzo più basso – sa dove reinvestire”.
Gli scenari per il 2021
“Ricapitalizzazione, riposizionamento e riconversione”. È così che Monica Badin, Senior Real Estate Consultant – Hospitality Department di World Capital, sintetizza le tendenze che caratterizzeranno il mercato immobiliare alberghiero italiano nei prossimi mesi. Rimettendo sul tavolo il possibile ruolo degli speculatori: “Ci aspettiamo di vedere gli effetti pieni e sostanziali della pandemia nel secondo semestre del 2021, dove l’aumento del debito per gli albergatori in difficoltà sarà inevitabile. Gli investitori opportunistici sono in prima linea per accaparrarsi la presenza in destinazioni iconiche in vista dell’auspicabile ripresa del mercato alberghiero europeo”.
Quanto alle compravendite, “nel primo semestre del 2021, a causa dei divieti di viaggio e dei numerosi blocchi, prevediamo di vedere un numero di transazioni alberghiere relativamente scarso.
A seguito del lancio delle campagne di vaccinazione e di un allentamento collettivo dei divieti sugli spostamenti, ci aspettiamo che il mondo dell’hotellerie inizi a riprendersi, sebbene segmenti come MICE e transient corporate avranno un lento recupero rispetto al turismo leisure di prossimità e di lusso in un’industria dell’ospitalità segnata da una forte digitalizzazione in un mondo post-pandemico significativamente rinnovato”. E poi ci sono i nuovi progetti: Badin spiega che “dalle rilevazioni del nostro dipartimento ricerca su base dati Nii Progetti, sul territorio nazionale sono previsti nell’arco dei prossimi due anni 1.421 progetti legati al mondo turistico, di cui 232 concretamente in via di sviluppo e 235 strettamente alberghieri. Per geografia, le destinazioni coinvolte sono soprattutto quelle più conosciute all’estero e performanti. L’attrattività di una destinazione è strettamente legata alla sua immagine internazionale e alla buona connessione con gli aeroporti”.
I volumi: un passo indietro che sa di rincorsa
Un’indicazione dello stato di salute del real estate italiano ci viene dal confronto tra il primo trimestre 2021 e lo stesso periodo del 2020, che non risentiva del Covid e che “ha esattamente gli stessi numeri: undici transazioni, per un totale di 1.300 camere, nel 2020, e undici transazioni, per 1.100 camere, nel 2021. Addirittura – in termini di valore delle operazioni – c’è stato un +9% rispetto all’anno scorso”, osserva Zalamena, che sul 2020 chiosa spiegando che «in termini di volumi si è chiuso alla metà di quanto previsto prima della pandemia, ad 1,1 miliardi. E se solo cinque anni fa il mercato delle transazioni alberghiere non aveva mai superato il miliardo, rimanere al di sopra in un anno critico come quello scorso vuol dire essere in presenza di un mercato maturo, che ha la stessa dignità di Francia o Spagna”.
E se nell’annus horribilis “siamo passati dalle 67 transazioni del 2019 a poco più di 40”, per il 2021 “un ritorno ai più di tre miliardi registrati del 2019 è impossibile, ma riuscire a fare gli stessi volumi dell’anno scorso sarebbe già un buon risultato. Un miliardo e mezzo potrebbe essere un ottimo target”. Badin ribadisce invece che “in Italia, come in Europa, l’appetito degli investitori in cerca di opportunità rimane elevato in attesa di un’ondata di debito che dovrebbe abbattersi sugli albergatori in difficoltà creando una reazione a catena che potrebbe consentire sconti significativi sulle transazioni”, ma è d’accordo con Zalamena nel dire che “i proprietari alberghieri resistono alla tempesta e si rifiutano di concedere sconti sostanziali nella speranza di una ripresa relativamente rapida del comparto, ritenendo che le prospettive del mercato alberghiero europeo rimangano forti nel medio-lungo termine”.
Per la consultant di World Capital nel 2020 “abbiamo assistito ad un calo sostanziale del volume delle transazioni di circa il 70% rispetto all’anno precedente. Le transazioni vedono spesso uno sconto compreso tra il 10% e il 25% rispetto ai prezzi pre-pandemici ed a seconda della tipologia di asset, con la maggior parte degli investimenti provenienti da investitori europei in operazioni su singole strutture alberghiere e non su portafogli.
Le difficoltà nell’ottenere finanziamenti e le scarse performance attuali degli alberghi facilitano gli High-Net-Worth Individuals e i Family-Office nei loro investimenti di lungo termine perché sono in grado di scegliere di distribuire il capitale quando lo ritengono più opportuno e possono competere nell’acquisizione degli asset migliori presenti sul mercato a fronte di rendimenti attesi più ridotti”. L’aumento della fiducia dei viaggiatori e degli investitori “abbinata a un graduale aumento della raccolta del debito, contribuirà a riportare i volumi delle transazioni ai livelli precedenti. Il recupero del volume sarà più a forma di V che di U, principalmente a causa del fatto che molti proprietari alberghieri cercheranno di resistere più a lungo per trarre vantaggio dal recupero dei valori degli asset prima di vendere”, conclude Monica Badin.
Le Big Four e la leisure-mania
E poi c’è la mappa degli investimenti: qual è la situazione attuale, e dove stanno puntando i fari gli investitori? “Il trend – osserva Zalamena – premia ancora le piazze più iconiche, però c’è un cambiamento importante nella distribuzione di interesse. Premesso che Roma, Venezia, Milano e Firenze hanno da sempre rappresentato i 2/3 del volume totale delle transazioni, si affaccia un crescente interesse da parte degli investitori per il mercato leisure, per molto tempo visto come rischioso.
Molti investitori non compravano in Sardegna, in Sicilia o in montagna perché troppo stagionali. Il Covid ha invece dimostrato che il mercato della vacanza è molto più resiliente di quello corporate-business, con una domanda domestica molto forte: la montagna, il mare estivo, i laghi, hanno garantito redditività a livelli 2019, per diversi mesi, pur con tutte le difficoltà del caso”. Un esempio di nuova destinazione top? “Cortina, che negli ultimi due o tre anni è cresciuta molto, e l’assegnazione delle Olimpiadi ha dato il plus finale. Cinque anni fa non riscuoteva l’interesse di oggi”. A Cortina, Badin aggiunge anche Capri e conferma che “grazie ai risultati rassicuranti dell’estate scorsa, anche le località leisure hanno un grande appeal: Sardegna, Puglia, Sicilia, litorale toscano e Costiera Amalfitana, oltre a località montane di prestigio in Val d’Aosta e sulle Dolomiti.
Ci troviamo di fronte ad una ripresa guidata dal boom del fenomeno staycation. Agli investitori piacciono le opportunità: dovendo puntare alla redditività nel lungo termine, è necessario andare oltre le città consolidate, creando un nuovo mercato nei centri emergenti, ricchi di asset che, avendo la possibilità di essere riqualificati e valorizzati, possono rivelarsi investimenti immobiliari di qualità in grado di garantire una redditività costante nel tempo e di dare soddisfazione economica agli stakeholders (Torino, Trieste, Bologna, Verona, Napoli)”. Tornando alle Big Four, secondo Monica Badin, “tutte promettono bene. A Venezia, Firenze e Roma il turismo leisure ripartirà. Per quanto riguarda Milano, vista come una destinazione più business rispetto alle altre, la forte rigenerazione urbana e la prospettiva dei giochi olimpici invernali, la rendono una location altrettanto appetibile dove investire”.