Alessio Lazazzera è un gentiluomo. Anzi un galantuomo, come direbbero in quella Penisola sorrentina che gli ha dato i natali e il lieve, nobile accento tra le parole. Capitano di lungo corso dell’ospitalità italiana e manager dell’anno coronato da Ehma, Lazazzera stupisce per la mancanza di asperità e di orpelli del suo raccontare e raccontarsi. Non te lo aspetteresti, non così, da chi per mestiere frequenta i capricci dei divi del cinema “da dentro”, da general manager del sontuoso Excelsior Lido di Venezia, hotel-simbolo del Festival per eccellenza. E invece al troppo, al dissoluto, all’eccessivo, Lazazzera oppone la misura di chi sa stare al mondo, di chi non si sente – pur potendo, per titoli e carriera – un doge in Laguna venuto da un altro mare e da un’altra repubblica marinara. Che essere eroi è molto più facile che essere galantuomini: eroe si può essere una volta ogni tanto, galantuomo bisogna esserlo sempre. Lo diceva Luigi Pirandello da Girgenti, e lo rende vero Alessio Lazazzera da Sant’Agnello.
Da cosa si parte per arrivare al timone dell’Excelsior Lido di Venezia?
Dal sogno di un ragazzino. Fin da piccolo avevo ben chiaro il mio obiettivo: volevo dirigere un grande hotel. Pensavo al prestigio, certamente, ma soprattutto alla passione che sentivo e a quello che l’ospitalità avrebbe potuto trasmettermi e regalarmi. E devo dire che nei miei trentacinque anni di carriera ho avuto la fortuna di incrociare il mio destino con quello di tante strutture davvero iconiche.
Un sogno partito dalla Campania.
Sì, da Sant’Agnello di Sorrento, in Penisola sorrentina. Dopo aver frequentato l’istituto per il turismo a Sorrento, ho avuto la fortuna di apprendere l’ospitalità a 360 gradi, lavorando di volta in volta in campo amministrativo, operativo, della manutenzione… E per giunta in grandi compagnie, da Ciga Hotels a Sheraton, da Starwood a Relais & Chateaux a The Leading Hotels of The World. È stata la mia fortuna.
Qual è stata l’esperienza “chiave di volta”?
Nella mia formazione c’è stato un continuum, ma se devo rintracciare un’esperienza più “decisiva” scelgo quella al Quisisana di Capri. Gli anni trascorsi a dirigerlo mi hanno dato modo di approfondire molti aspetti legati alla professione e di potermi esprimere ai livelli che avevo sempre desiderato. Ma so bene che non si finisce mai di imparare.
Qual è la principale qualità che riconosce a sé stesso, sul lavoro?
Mi è sempre stata riconosciuta una forte empatia nei confronti degli altri, un naturale coinvolgimento con le persone e la loro crescita. Sono orgoglioso del fatto che in molti, tra coloro che hanno lavorato con me, siano oggi celebrati professionisti alla guida di grandi hotel. Questa predisposizione ai rapporti umani, ad avere a che fare con le persone e a puntare su di loro, senza egoismi, mi accompagna da sempre. Ne sono felice, perché è bello trasmettere qualcosa di sé agli altri.
Quindi Ehma ha colto nel segno, premiando la sua “leadership, etica e apertura mentale”.
I miei colleghi e amici di Ehma hanno avuto modo di conoscermi bene, negli anni, e di verificare di persona come lavoro e come mi comporto in hotel. A me ha sempre dato grande gioia lavorare con gli altri e per gli altri, a supporto dell’azienda ma anche delle persone.
Come ha visto cambiare il ruolo di manager alberghiero negli anni? È effettivo il passaggio da “capo” a leader?
Assolutamente sì, ma non riguarda solo chi dirige: tutte le figure professionali dell’hôtellerie sono cambiate. Oggi ognuno deve essere manager di sé stesso, prima che degli altri, per essere in grado di fare da guida ed esempio. La chiave di volta è sempre la stessa, e racchiude il mio credo di tutta una vita: ho sempre pensato che non sia giusto volere per gli altri quello che non si vorrebbe per sé.
La celebre regola aurea.
Io non ho mai pensato a quello che faccio come a un lavoro. Lo considero a pieno titolo un modo di vivere, che assorbe ogni momento ed ogni energia, dalla gestione amministrativa a quella operativa, fino alla conoscenza di un piatto e al dialogo con personaggi di tutto il mondo. È un compito totalizzante, com’è giusto che sia, visto che l’albergo oggigiorno è un’azienda che racchiude tante aziende.
Ha mai immaginato di fare altro nella vita?
Ho sempre coltivato interessi multiformi – dall’architettura all’ingegneria, fino al design – e credo che questa mia curiosità mi abbia aiutato molto. Ma non so se avrei potuto fare altro. Me lo sono chiesto e la mia risposta è stata che no, avrei potuto solo essere ciò che sono, anche perché il mio è un mestiere che contiene in sé la somma di tutti gli interessi possibili.
Con la sua direzione l’hotel è tornato al suo splendore. Come si migliora ulteriormente una struttura così?
Connettendola con l’ambiente circostante, puntando con decisione sul legame con il territorio e lavorando per internazionalizzarla sempre di più. Questa è la prima chiave di volta. Poi c’è il capitale umano: adoperarsi perché ciascuno dei 300 professionisti che in alta stagione lavorano qui si senta sempre più coinvolto e decisivo per il funzionamento di un meccanismo più grande, del quale però è parte integrante. E poi c’è la modernizzazione: una struttura di questo livello deve sempre restare al passo, in termini di tecnologia e servizi, tenendo insieme ciò che l’hotel è stato ed è, per storia e prestigio, ma volgendo sguardo e attività a ciò che potrebbe essere domani. Infine, bisogna offrire agli ospiti esperienze sempre più autentiche. Noi gestiamo aziende fatte anche di numeri e grafici, ma a fine giornata la cosa più bella resta quella di star lì a parlare con gli ospiti. E se tutto questo viene naturale, come parte di uno stile di vita, è ancora meglio.
L’hotel è di proprietà di una società internazionale. Come sono i rapporti, rispetto a quelli con una proprietà più “di prossimità”?
Ci si rapporta bene e con grande profitto anche con proprietà di questo livello. L’importante è che vi sia la giusta comunicazione, il giusto rispetto tra le persone. È un principio che vale sempre.
C’è un angolo di Venezia che ama e che nessuno celebra?
Mi piace pensare a Venezia come a un rompicapo di immensa bellezza, che nessuno riesce a risolvere talmente tanti sono i tasselli che compongono questo mosaico così prezioso. Insieme allo scrittore Nicola Lecca ho scritto anche un libricino, “Venezia dalla A alla Z”, pensato per raccontarla in maniera semplice, proponendo un angolo segreto della città per ogni lettera dell’alfabeto. Il libro viene regalato ai nostri ospiti, per suggerire possibilità di visita diverse dal solito, come ad esempio via Garibaldi, la Madonna dell’Orto, l’Isola di Sant’Erasmo: luoghi conosciuti da pochissimi turisti, ma capaci di grande fascino.
Se il cuore di Venezia è in Piazza San Marco, dov’è la testa?
Credo che San Marco sia in profonda connessione con ciò che da San Marco si vede: San Giorgio, la Giudecca, i diversi campi che la circondano. È un dialogo ininterrotto.
Lei è più un tipo da Carnevale o da Festival del Cinema?
Sono da Festival, naturalmente. Durante la Mostra del Cinema l’albergo si trasforma completamente e diventa un set cinematografico, vero e proprio crocevia di tutto ciò che accade. Tutti passano di qui e tutti vogliono stare qui, tra migliaia di persone che transitano per l’albergo, eventi, proiezioni, iniziative, dibattiti.
Tra tutti i divi che le sarà capitato di conoscere, c’è qualcuno che l’ha colpita in particolare?
Uno degli ultimi incontri che ricordo con piacere è quello con Lady Gaga: l’ho trovata una persona dotata di gentilezza autentica e disponibilità estrema.
Dopo Venezia c’è un posto nel quale, in astratto, le piacerebbe lavorare?
È un qualcosa a cui non ho pensato. Quello che sto vivendo è un periodo di tale gioia e pienezza che non mi sono aperto ad altre ipotesi. Non che siano mancate le proposte importanti, ma ho l’entusiasmo di chi sta portando avanti un progetto con tutto ciò che può dare, e quindi non c’è spazio per nient’altro. Non per niente Goethe diceva che Venezia non può essere paragonata che a sé stessa.
Autore per autore, Thomas Mann ha scritto – molto prima dell’overtourism – che Venezia è allo stesso tempo un racconto di fate e una trappola per forestieri. È d’accordo?
A Venezia vogliono venire tutti, almeno una volta nella vita. Ma mi fa piacere constatare che sono sempre di più quelli che ci tornano. E chi si affeziona a questo scrigno di tesori, chi lo vive nel modo giusto, non lo vedrà mai come una trappola. Semmai come un rifugio. Sta anche a noi indicare la strada alle persone.
La professione vissuta come stile di vita le lascia il tempo per dedicarsi ad altro?
Gli interessi sono tanti, ma mi è difficile viverli appieno. Però in ogni cosa che faccio cerco di metterci il plus che mi viene dall’aver passione, per regalarla anche agli ospiti. D’altronde anche il lavoro mi ha fatto scoprire tanto: saper mangiare, saper bere, interloquire con Capi di Stato come con persone molto diverse per provenienza e ceto sociale. Compresi i miei amici d’infanzia in Penisola sorrentina, con i quali resto in contatto e che vado a visitare almeno una volta l’anno.
C’è una massima, un verso, un film, un’opera d’arte che la rappresenta?
Il mio mantra è basilare, forse banale: essere sé stessi, sempre. È fondamentale, ed è un principio che trasmetto ogni giorno allo staff. Non bisogna essere altezzosi né untuosi, mai. Il tuo hotel può essere il più bello del mondo, ma se non trasmette autenticità, non vale nulla.