Nel mondo trova una definizione in tutte le lingue dell’alta ristorazione: “table de chef”, “chef’s table”, “tavolo dello chef”. È la formula, mutuata da varie modalità di preparazione e servizio nel mondo, ma soprattutto dai sushi bar e dal “teppanyaki” giapponese, che consente a un pubblico selezionato, poche persone, di entrare nelle cucine dei ristoranti per ammirare lo staff di cucina in azione e farsi spiegare i piatti direttamente dal loro creatore.
Finora il tavolo dello chef è stato sinonimo di una proposta elitaria, adottata da star della cucina che ammettono vicino ai loro fornelli un ristretto numero di commensali disposti a sborsare notevoli cifre pur di assistere alle prodezze dei loro idoli. Ma i tempi cambiano, soprattutto sulla spinta di eventi drammatici come il Covid-19. Per questo non stupisce la decisione di alcuni chef e manager, anche in importanti hotel, di destinare i loro locali a un solo gruppo di persone, a pranzo o a cena, declinando totalmente la loro attività sul formato dello “chef’s table”.
Continuare a operare
Una soluzione che consente di proseguire un’attività, quella della ristorazione, pesantemente limitata dalle norme su igiene, distanziamento fisico e sicurezza. Si riduce certamente il personale di sala, e anche la brigata, ma si continua a operare, consentendo allo chef, eventualmente supportato da pochi aiutanti, di proseguire il loro lavoro e approdare anche a una nuova creatività.
Può, una formula di questo tipo, essere applicata anche negli hotel? Certamente, e lo dimostra non solo la popolarità che il tavolo dello chef ha acquisito in passato in tutto il mondo, ma anche la nuova enfasi che le strutture alberghiere gli stanno dando sui loro siti in questo periodo. Non c’è bisogno di avere in cucina uno chef stellato o una star della televisione. Quello che conta è avere una filosofia ben precisa da proporre, che può essere anche semplicemente incentrata sulla cucina del territorio, sulle tipicità, sulla selezione attenta delle materie prime e sulle tecniche di cottura adatte a trasformarle nel migliore dei modi. Non è necessaria, insomma, la cucina degli effetti speciali, ma una solida preparazione e una proposta credibile per destare l’attenzione del pubblico.
Molteplici vantaggi
Il tavolo dello chef non necessariamente deve essere sistemato dentro la cucina. Può essere collocato in una sala attigua, magari con vista sui fornelli se la struttura del ristorante già dispone di uno spazio simile. Le persone ammesse vanno in genere da 4, per le formule più esclusive, a 8, non necessariamente appartenenti allo stesso gruppo. Oggi i ristoranti devono fare i conti con i continui cambi di normative, che hanno dapprima imposto la “regola del sei” (non più di 6 persone allo stesso tavolo), poi la “regola del quattro” (non più di 4 commensali), ma garantendo il giusto distanziamento è possibile conformarsi alle disposizioni, magari allestendo due “table de chef” anziché uno solo. In compenso la formula consente di elevare i prezzi, data la sua esclusività, e può essere facilmente combinata con un potenziamento del servizio in camera (di cui abbiamo scritto nel numero di dicembre 2020) e aprendo la possibilità del delivery per gli altri ospiti dell’albergo. Apre anche la possibilità di proporre formule o pacchetti comprensivi di una cena al tavolo dello chef.
Gestione semplificata
Che cosa serve, però, per fornire un servizio all’altezza? Quello che ha evidenziato una fortunata serie di Netflix, intitolata proprio “Chef’s Table”, trasmessa negli States in 30 episodi tra il 2015 e il 2019, in cui ogni puntata è dedicata a uno chef per raccontare la sua personale filosofia e il suo approccio alla cucina. L’hotel che vuole dar vita a un tavolo dello chef deve quindi credere profondamente alla persona a cui ha messo in mano la sua cucina, con cui deve condividere una linea e un progetto ben preciso. Ogni incontro con il pubblico diventa quindi un racconto, da cui emergono non solo capacità tecniche e idee, ma l’impronta stessa dell’albergo.
Non è necessaria una grande profondità del menu, ma una linea operativa chiara. Lavorare per un numero limitato di persone può consentire perfino di fare la spesa ogni giorno, ma al tempo stesso di programmare ancora meglio, perché apre la possibilità di concordare il menu in anticipo, senza necessità di moltiplicare le preparazioni. Il tavolo dello chef ha infatti lo scopo di portare il pubblico a farsi guidare da chi cucina e quindi pone fin dall’inizio l’ospite nella predisposizione di voler sperimentare le proposte dello chef.
Il parere dell’esperto
I consigli di Roberto Carcangiu, chef di grande esperienza, presidente di APCI, l’Associazione professionale cuochi italiani. Carcangiu è docente e formatore in importanti scuole e accademie di cucina italiane oltre che sperimentatore e ricercatore, sia per fornire consigli ad aziende di settore sullo sviluppo di nuovi macchinari sia per creare nuovi prodotti alimentari con un elevato valore aggiunto, in termini di sapori ma anche di food cost.
Quali suggerimenti per dar vita a un tavolo dello chef?
Occorre innanzi tutto essere consapevoli che con una proposta di questo genere ci si mette totalmente in gioco. Occorre avere una totale padronanza non solo delle tecniche e delle materie prime, che è scontata, ma anche avere una predisposizione a comunicare e confrontarsi con il pubblico. Il tavolo dello chef è una vetrina da cui traspare tutta la professionalità e la capacità manageriale dello chef. Bisogna fare in modo che sia un’opportunità, non un’arma a doppio taglio.
Come si può essere sicuri di fare centro?
Bisogna avere un’idea precisa della cucina che si vuole proporre e pianificare tutto in anticipo. Il vantaggio è che è lo chef a decidere che cosa proporre e a guidare i suoi ospiti, e questo è un aspetto che va chiarito molto bene in sede di promozione, di spiegazione della proposta. Questo non vuol dire che l’attività possa essere svincolata dalle norme vigenti, quindi occorre prestare occhio a eventuali intolleranze e allergie, informarsi bene in anticipo su eventuali esigenze alimentari.
Quali le difficoltà?
Uno chef preparato non dovrebbe avere problemi a gestire tecnicamente un tavolo dello chef. Certamente, avere gli occhi degli ospiti puntati addosso ogni secondo richiede doti di organizzazione, precisione e pulizia, perché ogni minima precisione balza all’occhio. Si tratta di un’attività che mette alla prova uno chef in tutti gli aspetti del suo lavoro.
Un test di professionalità, insomma.
Sì, ed è un’esigenza sempre più sentita nel mondo della ristorazione poter misurare questa professionalità. Con gli amici del Congusto Gourmet Institute, e sulla base dell’idea di Roberto Dal Seno, executive chef del San Clemente Palace Kempinski di Venezia, abbiamo anche pensato a una certificazione che la attesti, il Cec, Certificato Executive Chef ad honorem, da rilasciare a professionisti di provata esperienza. Stiamo costruendo il percorso per definirlo e accreditarlo. Un professionista certificato CEC avrà sicuramente le carte in regola per gestire al meglio un tavolo dello chef.
Case history
Viu Hotel, Milano
Il Morelli Ristorante Gourmet, guidato da Giancarlo Morelli all’interno del Viu Hotel di Milano, offre al pubblico percorsi di degustazione o piatti alla carta. Nella cucina ospita però un tavolo, che può accogliere al massimo 18 persone, per il quale lo chef propone un percorso di 7 portata a “carta bianca”, cioè insindacabilmente deciso dallo stesso Morelli. Rispetto al menu in sala il costo è superiore di circa il 20%, comprensivo di bevande e servizio. Ogni piatto viene minuziosamente spiegato dallo chef in persona, per creare un’esperienza unica, che ha trovato molte recensioni positive sul web. Le limitazioni degli ultimi tempi hanno imposto di riservare il ristorante solo agli ospiti dell’hotel, aperto al pubblico esterno solo per il take away.
Belmond Hotel Cipriani Venezia
«L’alternativa era restare chiusi. A quel punto, abbiamo voluto creare qualcosa di magico». Così al Cipriani di Venezia spiegano la decisione di chiudere il ristorante Oro, il più prestigioso tra quelli dell’hotel, per riservarlo a un solo tavolo da sei persone. Il prezzo è di 220 euro a testa per godere di una cena “bespoke” pensata e preparata dallo chef Davide Bisetto. Una formula che trova anche una sua motivazione economica, perché non comporta costi aggiuntivi. Oro ha optato per questa formula già durante l’estate, trovando subito una grande attenzione da parte del pubblico, al punto che le prenotazioni sono state moltissime. La proposta è proseguita anche in autunno e inverno e rappresenta un nuovo modello che la gestione conta di replicare anche in futuro.
Hotel Muchele, Postal (Alto Adige)
Parte del gruppo Vinum Hotel, l’Hotel Muchele ha realizzato un tavolo dello chef per un massimo di 7 persone e un menu di 7 portate curato dalla chef Evelin Frank e dalla sua brigata. Una formula di successo che nell’albergo di Postal, località vicino a Merano, ha tradizioni storiche: Theresia Ganthaler, nota come nonna Theresia, che per tanti anni ha guidato la cucina, già dal 1952 aveva allestito un suo tavolo in cucina dove invitava i clienti più affezionati e gli amici per un’esperienza intima e familiare.
La formula viene replicata anche nella Theresia Stube, che si trova però fuori dalla cucina, una sorta di privé per un massimo di 12 persone in cui vengono organizzati eventi speciali o degustazioni con abbinamenti di vini e cibo.